venerdì 28 settembre 2012

Autodistruzione



Sparare per gioco
A colpi di fucile
Uccidere animali
In un acquitrino.

Era luglio faceva un caldo secco, piacevole. O almeno, a me piaceva la carezza dell’aria calda sulla pelle e il profumo della terra, dell’erba, degli arbusti cotti dal sole.
Campi di patate, ruscelli, lagni come li chiamavano, e acquitrini.
Il  basso nolano.
Fermammo le biciclette sul bordo della stradina polverosa che avevamo percorso dal paese per attraversare la campagna. Avevamo portato i fucili da tiro. Dei tre io ero quello che aveva la mira migliore.
E. e B. tenevano i fucili in spalla, la canna puntata a terra, io preferivo tenerlo imbracciato.
Soffiava un vento caldo che però non faceva sudare. Si stava bene.
Ci  inoltrammo nell’acquitrino. Indossavamo stivali da caccia. I nostri piedi affondavano nell’acqua fangosa. Nell’aria farfalle e libellule sembravano scintille bianche e colorate.
B. fu il primo a sparare, mancò un rospo che, intuito il pericolo, si era tuffato come un lampo.
Io mirai a una salamandra.
Ferma al sole.
Su una pietra.
A dieci metri da me.
Immobile godevo il calore del sole che permeava tutto il mio corpo.
Silenzio.
Solo cicale e fruscio di vento.
Una farfalla era posata su un papavero.
Le sue ali vibravano.
E. e B. si erano allontanati.
Presi la mira.
Lentamente.
Calcolai la parallasse. La deviazione del rinculo. Il tremito del braccio per lo sforzo del dito che avrebbe premuto il grilletto.
Sparai.
La feci secca. Spaccata in due.
E. e B. sentito lo sparo tornarono verso di me. Ridevano.
Io mi godevo il sole e l’odore di umido dell’acquitrino.
In fondo a un sentiero c’era una costruzione. Un capanno in muratura.
Mi avviai.
Vidi E. e B. indugiare. Non volevano seguirmi.
“Beh, allora? Venite o no?  Staremo un po’ al fresco lì dentro.”
Si avvicinarono strani, loro conoscevano quei luoghi. Io venivo dalla città.
Mi rivelarono che una diceria popolare voleva che in quel capanno fosse morto un uomo, il cui cadavere però non era mai stato ritrovato.
Per la verità nessuna sapeva neppure se era veramente esistito.
Non ci fu niente da fare. Non vollero seguirmi.
Intanto il sole tramontava.
Il cielo, sereno e limpido, da arancione era diventato rosso e volgeva verso il viola.
E. e B. presero le biciclette e tornarono in paese.
Io, lentamente, mi avviai verso il capanno.
Lo raggiunsi.
Aprii la porta grigia di legno secco e durissimo.
Entrai.

(Milano, settembre 2012)