lunedì 15 ottobre 2012

Ritratti ad acquerello


1. Anna del Portnoy 

Era ottobre, a quei tempi tornavo dal lavoro con la metropolitana verde, scendevo a Sant’Ambrogio e prendevo la 96, allora era questo il numero della linea di autobus che percorreva la circonvallazione interna di Milano, oggi è la 94.
Due fermate fino all’incrocio tra via De Amicis, Via Molino delle Armi e Colonne di San Lorenzo, Corso di Porta Ticinese, dove abitavo in una vecchia palazzina.
E proprio all’angolo tra via De Amicis e Corso di Porta Ticinese c’era e c’è tuttora un caffè, il Portnoy.
Tutte le sere, in quell’autunno dolce dell’89 posavo la mia borsa a casa e con la mia compagna andavo a prendere lì l’aperitivo.
Era un caffè letterario, l’atmosfera era molto calda e piacevole, quasi come nell’oleografia della Milano anni ’60, tra tavoli di legno di ciliegio e il lungo banco con gli stuzzichini, sgabelli alti rivolti verso la vetrina che dava su Corso di Porta Ticinese e, al piano di sopra, una bella sala, con tavolini e sedie, sempre di ciliegio, che aveva alle pareti antichi manifesti d’iniziative letterarie e culturali.
Era bella Anna.
Dietro al banco del bar sorrideva ai clienti.
Era alta e la pedana la faceva ancora più alta.
Le forme generose e i capelli, tra il biondo e il castano chiaro, gli occhi, castani anch’essi, avevano la bellezza tipica delle ragazze napoletane.
Perché Anna era napoletana.
Era un appuntamento fisso, verso le sette e mezza.
Sedevamo sugli sgabelli al banco e chiacchieravamo a lungo con lei, che, in tallieur nero, gilet e camicetta bianca, ci chiedeva cosa desiderassimo bere, preparava le bevande con gesti sicuri ed eleganti, agitava il mixer come se quello della bar woman fosse da sempre il suo mestiere.
Ci parlava di lei. Le raccontavamo di noi.
Era laureata in lettere Anna, aveva frequentato il liceo classico, l’Umberto, amava la letteratura. Aspettava l’esito del concorso a cattedre alle scuole superiori e intanto era venuta a Milano. A lavorare al bar.
Al Portnoy.
Noi eravamo tornati da Roma da meno di un anno e tra poco più di un mese avremmo lasciato l’appartamento al Ticinese per traslocare definitivamente nella nostra casa di Porta Genova.
Erano mesi difficili e di avventura, la terza tappa del viaggio della mia vita era ripartita da Milano in un gelido gennaio, con la febbre a quaranta.
Dopo un inverno freddo e duro da tutti i punti di vista, per il corpo e per l’anima, avevamo avuto una primavera dolce e dai colori pastello, tra il celeste del cielo, il verde dei boschi del Parco del Ticino, la quiete dei laghi al sabato e alla domenica.
Il mese di maggio ci aveva regalato il trasloco provvisorio da Corso Italia a Porta Ticinese. E in quel quartiere mi trovai subito a mio agio, come se ci fossi vissuto da sempre: i suoi negozi ancora piccoli e familiari allora, le sue botteghe, i suoi caffè, le sue osterie erano un mondo lontano dai Banchi Nuovi a Napoli, dove ero nato e cresciuto, eppure mi sentivo benvenuto e accolto con calore. Insomma, ci stavo proprio bene. Perfino l’unico ristorante cinese non guastava l’atmosfera tutta milanese, esattamente come uno la immagina.
E così prendemmo l’abitudine la sera, al ritorno dal lavoro, di andare al Portnoy. E con Anna, non solo perché napoletani, ci fu subito un idem sentire, si parlava di letteratura, di filosofia, dell’attualità del Paese e di Milano. Si parlava poco o niente di Napoli. Come se un pudore particolare ce lo impedisse.
A novembre traslocammo a Porta Genova.
A gennaio Anna tornò a Napoli.
Anni dopo siamo tornati al Portnoy, che intanto era diventato uno dei caffè più famosi di Milano.
Era gestito da un ragazzo indiano.
Si mangiavano ottimi panini.
Si beveva un’eccellente birra.
Mancava Anna.

Milano, 15 ottobre 2012.