mercoledì 4 gennaio 2012

La spacciatrice di pane

Uno dei momenti più piacevoli della giornata, quando sono in Francia, soprattutto d’estate, è andare a comprare la baguette o la michette da quella che chiamo la mia spacciatrice di pane.
E’ una vecchia bottega di panetteria artigianale, a circa 300 metri da casa mia.
Certe mattine, poco prima delle undici, scendo di casa, esco dal portone sulla strada assolata, mi porto dal lato in ombra e cammino a passo lento, godendomi l’aria sempre un po’ fresca per il tiraggio che fanno queste lunghe traverse che degradano molto lentamente fino al mare.
Sapere che sto andando a prendere il pane mi mette di buon umore.
Il bello della vita qui è godere le piccole cose, in un edonismo minimalista che sembrerebbe contraddire la fama snob di questi luoghi.
Se il cielo è un po’ coperto, l’atmosfera è ancora più gradevole.
Raggiungo il primo incrocio, guardo la lavagna del bistrot di fronte, sulla quale è scritto il piatto del giorno.
La leggo con attenzione e curiosità, anche se non ho in programma di pranzare là, commento tra me e me la proposta, un auspicio per la giornata, attraverso la strada e continuo a camminare.
Passo davanti al negozio di fiori e al negozio di strumenti musicali, guardo in un'altra traversa in fondo alla quale è un piccolo supermarket, una superette, come dicono qui, pensando se mi serve qualcos’altro.
Poi vedo la bottega, di vecchio panettiere, con le sue boiserie rosso ciliegio, fuori il banchetto con “Nice matin”, e il profumo del pane appena sfornato.
La panettiera, la mia spacciatrice di pane, è una donna sui quarant’anni, dall’aria di scoppiatona di una volta, a metà tra Zola e Kerouac. Il viso non è bello, ma ha un che di piacevole, con quel suo aspetto drogato, precocemente invecchiato.
Mi piace immaginarla giovane hippy, strafatta di qualunque cosa, che a una certa età col suo compagno ha rilevato la panetteria.
Dentro la bottega, alle spalle del banco, i ripiani di legno sui quali è il pane: pane di campagna, bianco e nero, in pagnotte piccole e grandi, pane ai cereali e, soprattutto, baguettes e il loro capolavoro, le michettes.
Ma le michettes sono sfornate solo alle undici e solo pochi pezzi, per cui se si arriva troppo presto c’è da aspettare, se si arriva magari già solo alle undici e dieci, non se ne trovano più.
Per questo vado verso le undici, e qualche volta aspetto.
Il forno è a vista, dietro al banco. Il fornaio è il compagno della panettiera, anche lui sui quaranta, tatuatissimo, con i capelli lunghi, gli occhi da drogato perso, gentilissimo e simpatico.
Non c’è bisogno di chiedere, la signora mi porge, se c’è, la michette, altrimenti mi fa uno sguardo complice di comprensione e mi porge una baguette.
Caldissima di forno.
Pago.
Saluto.
E piano, molto piano, a passi lentissimi, ritorno a casa.