lunedì 25 giugno 2012

Appunti di giorni passati. Un romanzo d'appendice.



Nove.

Sono sempre stato un uomo di indole molto mite. Fin da piccolo ho amato leggere, studiare. Le ore trascorse al tavolo concentrato su un testo di filosofia greca o su un teorema di geometria, quelle disteso a letto, su una spiaggia o su un prato all’ombra di un albero a immergermi in un romanzo, sono tra i ricordi più belli della mia adolescenza e della mia gioventù. I dibattiti accesi sulla superiorità di un poeta o di uno scrittore, le sere d’estate nei teatri greci ad assistere alle rappresentazioni di tragedie e commedie classiche.
Dalla fine del liceo non ho più frequentato il mio quartiere, e dopo l’università ho lasciato Napoli.
Ho cominciato a girare il mondo e le cose che pesavano di più nei miei bagagli erano i libri che mi portavo dietro, ai quali si aggiungevano quelli che compravo nei paesi di cui conoscevo la lingua.
Nonostante le zuffe da ragazzo, non sono mai più stato una persona violenta, ho sempre seguito comportamenti ispirati alla massima educazione, alla serietà e al rispetto di regole e costumi dei paesi che mi ospitavano.
La “molletta” da quarant’anni era ormai solo un amuleto e il ricordo di un amico d’infanzia sfortunato.

Alle sei e mezza del mattino, dopo una notte quasi di solo dormiveglia, mi alzai, riempii la vasca e feci un bagno tiepido per rasserenarmi e riflettere con più lucidità.
Alle otto e mezza dovevo essere alla Gare du Nord per prendere il treno per Valenciennes, dove avevo appuntamento con Giorgio Manara un ingegnere che da molti anni viveva lì e lavorava in una società di ricerca nel campo della telematica. Mi doveva presentare un nuovo prodotto che permetteva la tracciatura dei flussi di rifiuti con un’affidabilità e un’accuratezza mai ottenute fin allora.
Feci colazione nel bistrot dell’albergo e presi il metro per raggiungere la stazione. Pensavo a come potessero essere organizzati gli uomini dei Servizi Francesi che mi tenevano sotto controllo, un po’ scorta e un po’ spie, e mi divertiva immaginare come stavo loro complicando la vita spostandomi in metro invece che in macchina.
Salii sul treno, un Corail Parigi-Lille. 
Complicazione ulteriore per i miei amici-angeli custodi: avevo deciso di viaggiare in seconda classe. Non per avarizia, perché mi piaceva stare tra la gente comune, osservarli, ascoltarne i discorsi, chiacchierare se ne presentava l’occasione. E certo questo non era il meglio come comportamento di un pedinato-protetto. “Saje é jastemme”, pensai in napoletano ridacchiando.
(continua)