Nove.
Sono sempre stato un uomo di indole molto mite. Fin da piccolo ho amato
leggere, studiare. Le ore trascorse al tavolo concentrato su un testo di
filosofia greca o su un teorema di geometria, quelle disteso a letto, su una spiaggia
o su un prato all’ombra di un albero a immergermi in un romanzo, sono tra i
ricordi più belli della mia adolescenza e della mia gioventù. I dibattiti
accesi sulla superiorità di un poeta o di uno scrittore, le sere d’estate nei
teatri greci ad assistere alle rappresentazioni di tragedie e commedie
classiche.
Dalla fine del liceo non ho più frequentato il mio quartiere, e
dopo l’università ho lasciato Napoli.
Ho cominciato a girare il mondo e le cose che pesavano di
più nei miei bagagli erano i libri che mi portavo dietro, ai quali si
aggiungevano quelli che compravo nei paesi di cui conoscevo la lingua.
Nonostante le zuffe da ragazzo, non sono mai più stato una persona
violenta, ho sempre seguito comportamenti ispirati alla massima educazione,
alla serietà e al rispetto di regole e costumi dei paesi che mi ospitavano.
La “molletta” da quarant’anni era ormai solo un amuleto e il
ricordo di un amico d’infanzia sfortunato.
Alle sei e mezza del mattino, dopo una notte quasi di solo
dormiveglia, mi alzai, riempii la vasca e feci un bagno tiepido per
rasserenarmi e riflettere con più lucidità.
Alle otto e mezza dovevo essere alla Gare du Nord per
prendere il treno per Valenciennes, dove avevo appuntamento con Giorgio Manara
un ingegnere che da molti anni viveva lì e lavorava in una società di ricerca nel
campo della telematica. Mi doveva presentare un nuovo prodotto che permetteva
la tracciatura dei flussi di rifiuti con un’affidabilità e un’accuratezza mai
ottenute fin allora.
Feci colazione nel bistrot dell’albergo e presi il metro per
raggiungere la stazione. Pensavo a come potessero essere organizzati gli uomini
dei Servizi Francesi che mi tenevano sotto controllo, un po’ scorta e un po’
spie, e mi divertiva immaginare come stavo loro complicando la vita spostandomi
in metro invece che in macchina.
Salii sul treno, un Corail Parigi-Lille.
Complicazione
ulteriore per i miei amici-angeli custodi: avevo deciso di viaggiare in seconda
classe. Non per avarizia, perché mi piaceva stare tra la gente comune,
osservarli, ascoltarne i discorsi, chiacchierare se ne presentava l’occasione.
E certo questo non era il meglio come comportamento di un pedinato-protetto. “Saje
é jastemme”, pensai in napoletano ridacchiando.
(continua)