martedì 27 marzo 2012

Il ciclismo, i passisti e la vita


Amo il ciclismo, da quando ero bambino. Mi piacciono le corse lunghe, difficili, faticose e complicate, come la Milano - Sanremo, la Parigi - Roubaix, certe tappe pirenaiche massacranti del Tour de France, l’”americana” su pista.
I ciclisti che mi piacciono di più sono i passisti: Anquetil, Gimondi, Indurain, Cancellara, e in pista Teruzzi, quando ero bambino e Silvio Martinello, campione del mondo di “americana” negli anni ’90.
Il passista sa dosare nel tempo la sua energia economizzandola al massimo e ottimizzando i risultati.
Vince con la testa, prima che con le gambe.
Il passista, se un avversario scatta in un punto critico del percorso, non reagisce, non lo insegue d’istinto, prosegue impassibile la sua corsa con il ritmo che ritiene ottimale, e il più delle volte il malcapitato che era scattato di strappo scoppia prima della fine della corsa e viene raggiunto e superato dal passista.
All’ultima Milano - Sanremo, un gruppetto è scattato nei primi chilometri, i passisti sono rimasti impassibili (scusate il gioco di parole), il gruppetto ha staccato tutti e ha guadagnato un vantaggio di 17 minuti.
Dopo 260 chilometri i fuggitivi sono stati tutti raggiunti e superati. Alcuni, stremati, scoppiati, si sono ritirati. All’arrivo, dopo 298 chilometri, Cancellara, il più grande passista attuale al mondo, tenendo il suo ritmo è arrivato secondo.
Ecco, nella mia vita per indole e per educazione sono sempre stato un passista. Ho sempre seguito la mia strada, con il mio ritmo, dosando le energie. Non mi sono mai scoraggiato per le avversità, non mi faccio mai prendere dal panico o dallo sconforto. Guardo avanti, non inseguo d’istinto chi scatta e cerca di staccarmi, proseguo imperterrito e determinato con il mio passo.
E fino ad oggi alla distanza ho sempre vinto.