Amo il ciclismo, da quando ero bambino. Mi piacciono le
corse lunghe, difficili, faticose e complicate, come la Milano - Sanremo, la
Parigi - Roubaix, certe tappe pirenaiche massacranti del Tour de France,
l’”americana” su pista.
I ciclisti che mi piacciono di più sono i passisti: Anquetil,
Gimondi, Indurain, Cancellara, e in pista Teruzzi, quando ero bambino e Silvio
Martinello, campione del mondo di “americana” negli anni ’90.
Il passista sa dosare nel tempo la sua energia economizzandola al massimo e ottimizzando i risultati.
Il passista sa dosare nel tempo la sua energia economizzandola al massimo e ottimizzando i risultati.
Vince con la testa, prima che con le gambe.
Il passista, se un avversario scatta in un punto critico del
percorso, non reagisce, non lo insegue d’istinto, prosegue impassibile la sua
corsa con il ritmo che ritiene ottimale, e il più delle volte il malcapitato
che era scattato di strappo scoppia prima della fine della corsa e viene
raggiunto e superato dal passista.
All’ultima Milano - Sanremo, un gruppetto è scattato nei
primi chilometri, i passisti sono rimasti impassibili (scusate il gioco di
parole), il gruppetto ha staccato tutti e ha guadagnato un vantaggio di 17
minuti.
Dopo 260 chilometri i fuggitivi sono stati tutti raggiunti e
superati. Alcuni, stremati, scoppiati, si sono ritirati. All’arrivo, dopo 298
chilometri, Cancellara, il più grande passista attuale al mondo, tenendo il suo
ritmo è arrivato secondo.
Ecco, nella mia vita per indole e per educazione sono sempre
stato un passista. Ho sempre seguito la mia strada, con il mio ritmo, dosando
le energie. Non mi sono mai scoraggiato per le avversità, non mi faccio mai
prendere dal panico o dallo sconforto. Guardo avanti, non inseguo d’istinto chi
scatta e cerca di staccarmi, proseguo imperterrito e determinato con il mio passo.
E fino ad oggi alla distanza ho sempre vinto.