sabato 14 gennaio 2012

Vuoto assoluto

Da sempre, forse da quando ho raggiunto l’età della ragione, certamente da quando frequentavo le scuole medie, la mia aspirazione più profonda è stata tendere con il pensiero verso il nulla.
Ma non il nulla inteso come il “Nirvana” delle filosofie orientali.
No.
Per carattere innato e per formazione culturale e filosofica il mio spirito è permeato di pensiero occidentale, di filosofia greca, Platone innanzitutto, e lo stoicismo.

Il nulla come condizione di equilibrio finale. Come concetto fisico, più che filosofico.

Da piccolo immaginavo il nulla come l’Universo in cui su quell’infinitesima parte che è il pianeta Terra, si fosse estinta ogni forma di vita. Posto che nessun’altra forma di vita esistesse in alcun’altra parte di esso.
Ecco, un Universo senz’alcuna Entità che possa percepirne l’esistenza.
Questo era per me il nulla quando ero ragazzo.

Un teatro vuoto, con le pareti e la scena completamente bianche. Un attore che recita, da solo, in maniera sublime il suo capolavoro.
In platea nessuno.
In regia nessuno.
Il vuoto intorno a lui.
Questa è una buona approssimazione di quello che intendo per “nulla”.

Una radio lasciata accesa su un canale che trasmette un brano blues, per sola voce e chitarra, in un appartamento completamente vuoto.
Anche questa è una buona approssimazione.

Un pianista che prova alla tastiera elettronica, ascoltandosi in cuffia, un brano sublime.
E intorno a lui vuoto e silenzio.

Studiare la sera, tardi, da solo, in una biblioteca completamente vuota.

Un vecchio, su un’isola greca, nel nostro Mediterraneo, una piccola isola con pochissimi abitanti.
D’inverno.
In cima a un promontorio.
Solo.
A contemplare il mare, sotto il cielo grigio.
Circondato dal nulla.