giovedì 10 maggio 2012

Appunti di giorni passati. Un romanzo d'appendice.


Cinque.

Discutemmo una ventina di minuti. Mi raccontò in maniera un po’ più dettagliata quello che si stava muovendo nel mondo del traffico di rifiuti e i pericoli che me ne derivavano. Mi disse che per il momento la mia situazione non destava ancora preoccupazioni, ché agenti dei servizi francesi mi tenevano sotto controllo con discrezione.
Mi lasciò il numero di un cellulare italiano, raccomandandomi di chiamare nel caso percepissi anche la minima anomalia nella routine che si svolgeva intorno a me.

“Au revoir monsieur Toscano. Ci ritroveremo in Italia probabilmente. E mi saluti il capitano Claudia Somma quando la vedrà”.

Finii di cenare, con calma. Pensieri e ricordi cominciavano a invadermi la mente. Non ero preoccupato, né agitato, la cosa più importante è che non avevo nessuna persona cara, in Italia o in Europa, per la cui sicurezza potessi temere. I miei figli erano uno a Boston, l’altro in Guadalupa, abbastanza lontani e in mondi, dove difficilmente poteva concretizzarsi una qualche forma d’intimidazione trasversale. In ogni caso li avrei avvertiti. Sapevano il fatto loro.
Tornai in albergo a piedi, passeggiando per le vie di Parigi fino a Boulevard Saint Michel. Alloggiavo in un alberghetto proprio di fronte alla Sorbona, ci dormivo dai tempi in cui ero studente, era piccolo e accogliente, con la sua atmosfera anni ‘70, frequentato da studenti, professori e ricercatori. Mi trovavo bene, mi sentivo a casa e così, ancora adesso che ero un alto funzionario europeo, continuavo ad alloggiarvi.
Come sempre, come tutte le sere dalla prima che passai a Parigi quarant’anni fa, mi fermai a prendere un caffè in un locale di Boulevard Saint Michel.
Poi salii in camera.
Non so perché ma la prima cosa che feci fu aprire un cassetto, sollevare le magliette, guardare e toccare il coltello a serramanico, “ ‘a mulletta”, che portavo sempre con me da quando me l’aveva lasciata o’ bbarone, l’amico mio ladro di macchine, la sera che morì accoltellato in Via Santa Chiara, a Napoli.
Aveva rubato uno stereo dalla macchina sbagliata, che apparteneva alla persona sbagliata. Quella domenica sera il figlio di don Ciccio lo aspettò all’angolo tra “o’ vich'è segatura” e Santa Chiara. O’ bbarone non fece in tempo ad aprire bocca, né a difendersi, fu afferrato per le spalle, fatto girare e accoltellato all’addome con un solo colpo profondo e mortale. Mi trovai a passare per caso quella sera, ero andato a comprare le sigarette a mio padre. All’angolo tra Santa Chiara e i Banchi Nuovi c’era l’unico tabaccaio aperto la domenica sera.
Così lo vidi, lo sentii rantolare, a terra con il sangue che scorreva e il viso coperto di sputi, ultimo sfregio del figlio di don Ciccio. Era ancora vivo, corsi in tabaccheria a chiamare un’ambulanza, poi gli tornai vicino, si era fermata qualche altra persona, Santa Chiara era quasi deserta la domenica sera, e pioveva. Mi fece segno di avvicinarmi. Mi chinai su di lui. Gli sollevai la testa. Riuscì a muovere una mano mi poggiò il pugno chiuso nel palmo della mia e mi diede la molletta che vi teneva stretta, il coltello:

“Annascunnatella, tienela tu, Friarié. T…ie..ne..la..tu.”

Conoscevo quella “molletta”, o’ bbarone mi aveva insegnato ad usare il coltello a serramanico quando eravamo bambini. Mi aveva insegnato a difendermi dai ragazzi delle bande del quartiere, “d’é guagliun'é vasci’o’ puorto”, e da quelli di Santa Chiara.
Io ero dei Banchi Nuovi.

(continua)