mercoledì 22 febbraio 2012

Una voce che ride nella neve

Montpellier

Quattro 

Lei gli poggiò la testa sulla spalla.
E lo baciò sul collo.
Fece l’ultimo tiro.
Poi girò il capo.
Soffiò il fumo fuori.
E guardò verso il mare. Increspato di spuma. Blu profondo, coi riflessi d’argento.

Parcheggiarono.
Conoscevano bene il Thalassa, sia Silvana che Giorgio.
Silvana c’era stata molti anni prima in vacanza con Edoardo e le bambine, quando ancora vivevano in Italia.
Ricordò i pomeriggi  a leggere i suoi libri di storia mentre  le piccole nuotavano vocianti in piscina.
Giorgio c’era stato di passaggio una notte d’estate.
Avevano fatto tappa Lui e Mara durante un viaggio verso i Pirenei.

Pranzarono in terrazza godendosi il sole e i colori del mare.
Giorgio guardò per tutto il tempo gli occhi di Silvana.

“Devo immergermi completamente nel  colore dei tuoi occhi. Di nuovo non ti vedrò per molto tempo.
Voglio lasciarmi ipnotizzare, in modo che mi restino fissi nella memoria, e nei miei pensieri, almeno in quelli, io riesca sempre a vederli.
Non voglio più che nella mente mia ne svanisca l’immagine come un sogno al risveglio.”

Silvana, tenendogli la mano,  gli raccontò delle angustie del lavoro. Della sua solitudine, pur con Edoardo che l’amava immensamente e con le adorate figlie.
Del bisogno di lui, di Giorgio, che a volte diventava malattia.
Di lui che non c’era.
Del tempo che era passato.
Del tempo che passava.
Di un momento che non era stato sincrono tra loro, ormai troppi anni fa.
Di una dimensione di vita che avrebbe potuto essere e che non era stata.

“Con te sto bene, Giorgio. E se dura da tanti anni, è bello e basta.”

Salirono all’appartamento di Giorgio.
La camera da letto si apriva su un grande terrazzo che affacciava sul mare.
Il sole cominciava a calare. Il cielo era lavanda, sempre più profondo.

Fecero l’amore, con tenerezza, come si aspettava da Giorgio.
Silvana si abbandonò alle sue carezze e ai suoi baci, come a una sonata romantica per pianoforte solo.
Sentiva le dita, le labbra di Giorgio, adorare ogni millimetro della sua pelle.
E in un crescendo, prima lieve, poi sempre più incalzante, infine, lei prese il sopravvento.
E la sonata diventò una sinfonia.

Il sole, prima arancione, era sempre più rosso sull’orizzonte.

Restarono abbracciati.
La mano di lui sul seno di lei.
I baci di lei sul volto di lui.

Fecero la doccia insieme, come piaceva a Giorgio.
Stettero sulle sdraio in accappatoio, incuranti del freddo, a guardare il tramonto.

Alle cinque ripartirono.
In macchina Silvana riaccese il cellulare.
C’erano sei telefonate: due di Roberta, quattro di Edoardo.
L’ultima pochi minuti prima.

“Edoardo mi avrà cercata. Avrà chiamato Roberta per chiedere dove mi fossi cacciata.
Non ci sono chiamate dalle mie figlie.
E’ meglio spegnerlo di nuovo.
E’ più prudente”

Lungo la strada che li riportava a Montpellier il tramonto divenne crepuscolo, il colore lavanda del cielo si fece blu sempre più scuro. poi viola con striature rosso cupo, poi blu scurissimo.
Sull’orizzonte una fascia verde chiaro. 
Infine rimase  solo una pallida striscia di luce fluorescente lontana, tra l’orizzonte e il mare e il cielo nero.
Il crepuscolo era diventato sera.

Parcheggiarono non lontano dall’ufficio di Silvana.
Giorgio aveva il viso tirato.
Era arrivato.
Era arrivato il momento.

Silvana intuì il suo pensiero.

“E’ sempre così, Giorgio. Ché t’intristisci a fare? Sono anni che va così.”
“Silvana. Un minuto, anzi no,. un attimo, appena un attimo dopo che ti ho lasciata sto già male e sento subito un bisogno struggente di rivederti.
E’ vero, è sempre così.
Ma è sempre così.
E io sto male.”
“Non dire altro. Non dire più niente. Baciami, tesoro mio. Devo andare.”

Uscì.
Giorgio la guardava, immobile.

“Ciao caro.”

Furono le ultime parole che le sentì sussurrare.
Poi lei scomparve dietro l’angolo della strada.