Tre
“Si
chiamava Marco. Eravamo seduti sul prato ad assistere a un concerto. Con me
c’era Rosaria, l’amica con cui ero andata a Bologna per il Festival dell’Unità.
Erano
a fianco a noi, un gruppo di ragazzi, probabilmente universitari come noi.
Da
come erano vestiti, sembravano autonomi.
Avevo
22 anni.
Ricorderò
sempre quel viso, quei capelli ricci. L’incrocio degli sguardi.
I
suoi occhi neri.
I
miei occhi blu.
Mi
mostrò la lattina di birra in segno d’invito a bere con lui. E sorrise.
E
sorrisi.
Una
delle rare volte allora, nella mia vita.
Fu
tutta magia. Solo magia. Non ero più Silvana. Non la Silvana di Edoardo. E
nemmeno la Silvana che conosci tu.
Stemmo
un po’ con gli altri. Poi ci appartammo.
Fui
io a baciarlo.
Nascosti
dietro dei cespugli, facemmo l’amore.
Come
solo due giovani impazziti dal desiderio possono fare.
Ci
salutammo il mattino dopo. Mi diede il suo indirizzo di Bologna. Studiava
filosofia.
Tre
giorni dopo salutai Edoardo.
Pensa,
mi accompagnò alla stazione.
Raggiunsi
Marco a Bologna. Andai a vivere con lui.
Nel
salutarmi, Edoardo, disperato, mi disse: “tanto lo so che torni”.
Piangeva.
Di
un pianto represso.
Di
lacrime dentro.
Fu
un amore totale, pieno di passione, forse furono i mesi più felici della mia
vita.
Certamente
i più pazzi.
Tornai
a Torino per dare due esami.
Alla
stazione mi aspettava Edoardo.
Devoto.
Disperato.
Pieno
di felicità perché mi rivedeva.
Quelle
sere facemmo l’amore.
Non
chiedeva nulla Edoardo. Mi amava e aspettava.
A
Bologna però Marco frequentava un giro di autonomi troppo contiguo a frange,
sospette di collusione con il terrorismo.
Gli
avevo detto di Edoardo.
E
un giorno mi disse: “Silvana voglio che tu stia per sempre con me. Voglio che
tu divida tutto della vita con me, anche i miei rischi. Voglio che tagli per
sempre con Edoardo. Non posso accettare il pensiero che tu sia legata a un
altro.”
Fu
un istante.
Tutta
la prospettiva di vita mi sfrecciò velocissima nella mente. Come una pellicola
che gira ad altissima velocità. Rividi Edoardo. Sentii le sue braccia
stringermi, il suo amore forte, ai limiti della violenza, ma che mi faceva
impazzire. Guardai Marco, duro nella vita, ma tenerissimo e dolce con me
nell’intimità.
“Torno
a Torino, Marco.
Torno
da Edoardo”. Gli dissi.
Lui
urlò. Non lo aveva mai fatto. Non con me.
Sembrava
impazzito.
Mi
urlò: “Sei una puttana! Una puttana, questo sei!
Vattene!
Vaffanculo tu e quello stronzo!”
Io
mi voltai.
Non
mi seguì.
Andai
a casa. Raccolsi le mie cose, poche, nel borsone.
Chiusi
la porta.
Lasciai
le chiavi alla custode.
Presi
il primo treno per Torino.
Dalla
stazione, prima di partire, chiamai Edoardo.
Lo
trovai ad aspettarmi sul binario al mio arrivo.
Mi
strinse forte.
Mi
baciò.
Non
disse niente.
Andammo
a casa sua.
Posammo
la borsa e mi portò a cena in un ristorante che amavamo molto, pieno di noi.”
Giorgio
si accorse di stringere forte la mano di Silvana, mentre lei raccontava
infervorata.
Alterata.