sabato 11 febbraio 2012

Una voce che ride nella neve

Una voce che ride nella neve.

Tre

“Si chiamava Marco. Eravamo seduti sul prato ad assistere a un concerto. Con me c’era Rosaria, l’amica con cui ero andata a Bologna per il Festival dell’Unità.
Erano a fianco a noi, un gruppo di ragazzi, probabilmente universitari come noi.
Da come erano vestiti, sembravano autonomi. 
Avevo 22 anni.
Ricorderò sempre quel viso, quei capelli ricci. L’incrocio degli sguardi.
I suoi occhi neri.
I miei occhi blu.
Mi mostrò la lattina di birra in segno d’invito a bere con lui. E sorrise.
E sorrisi.
Una delle rare volte allora, nella mia vita.
Fu tutta magia. Solo magia. Non ero più Silvana. Non la Silvana di Edoardo. E nemmeno la Silvana che conosci tu.
Stemmo un po’ con gli altri. Poi ci appartammo.
Fui io a baciarlo.
Nascosti dietro dei cespugli, facemmo l’amore.
Come solo due giovani impazziti dal desiderio possono fare.
Ci salutammo il mattino dopo. Mi diede il suo indirizzo di Bologna. Studiava filosofia.
Tre giorni dopo salutai Edoardo.
Pensa, mi accompagnò alla stazione.
Raggiunsi Marco a Bologna. Andai a vivere con lui.
Nel salutarmi, Edoardo, disperato, mi disse: “tanto lo so che torni”.
Piangeva.
Di un pianto represso.
Di lacrime dentro.

Fu un amore totale, pieno di passione, forse furono i mesi più felici della mia vita.
Certamente i più pazzi.

Tornai a Torino per dare due esami.
Alla stazione mi aspettava Edoardo.
Devoto.
Disperato.
Pieno di felicità perché mi rivedeva.
Quelle sere facemmo l’amore.
Non chiedeva nulla Edoardo. Mi amava e aspettava.

A Bologna però Marco frequentava un giro di autonomi troppo contiguo a frange, sospette di collusione con il terrorismo.
Gli avevo detto di Edoardo.
E un giorno mi disse: “Silvana voglio che tu stia per sempre con me. Voglio che tu divida tutto della vita con me, anche i miei rischi. Voglio che tagli per sempre con Edoardo. Non posso accettare il pensiero che tu sia legata a un altro.”
Fu un istante.
Tutta la prospettiva di vita mi sfrecciò velocissima nella mente. Come una pellicola che gira ad altissima velocità. Rividi Edoardo. Sentii le sue braccia stringermi, il suo amore forte, ai limiti della violenza, ma che mi faceva impazzire. Guardai Marco, duro nella vita, ma tenerissimo e dolce con me nell’intimità.
“Torno a Torino, Marco.
Torno da Edoardo”. Gli dissi.
Lui urlò. Non lo aveva mai fatto. Non con me.
Sembrava impazzito.
Mi urlò: “Sei una puttana! Una puttana, questo sei!
Vattene! Vaffanculo tu e quello stronzo!”
Io mi voltai.
Non mi seguì.
Andai a casa. Raccolsi le mie cose, poche, nel borsone.
Chiusi la porta.
Lasciai le chiavi alla custode.
Presi il primo treno per Torino.
Dalla stazione, prima di partire, chiamai Edoardo.
Lo trovai ad aspettarmi sul binario al mio arrivo.
Mi strinse forte.
Mi baciò.
Non disse niente.
Andammo a casa sua.
Posammo la borsa e mi portò a cena in un ristorante che amavamo molto, pieno di noi.”

Giorgio si accorse di stringere forte la mano di Silvana, mentre lei raccontava infervorata.
Alterata.