Strano carattere il mio, troppo spesso incline ad angosce
immotivate, poi imperturbabile di fronte a pericoli reali.
Percepii quelle frasi senza il minimo sentimento di
sorpresa, come una qualunque conversazione tra passanti su argomenti a me
estranei.
Ero calmissimo.
Freddissimo.
Mi fermai a prendere un aperitivo al tavolo di un caffè
all’aperto, all’inizio degli Champs Elysées, godendomi la vista di un crepuscolo
di fine estate così colorato e penetrante da farmi ringraziare di essere
vissuto magari anche solo per questo.
Non modificai il mio programma. Discesi passeggiando gli
Champs Elysées, poi percorsi Rue de Rivoli fino ad arrivare a Chatelet. Lì mi
fermai a cenare in un ristorante, dove si gustava cucina alsaziana.
Ero seduto solo a un tavolo vicino alla vetrata.
Invidiavo i parigini che vedevo passeggiare.
La configurazione era quella più congeniale alla mia indole:
io che mangio da solo in un locale, tra altra gente, tutta in compagnia, e che
parlo in silenzio con me stesso, assorbendo però le sensazioni di tutto ciò che
mi accade intorno.
Così facevo a scuola, fin dall’asilo, alla mensa
universitaria, alla mensa aziendale, ai ristoranti, tanti da me frequentati per
lavoro.
A volte, a Bruxelles o in altre occasioni legate a riunioni
internazionali, arrivavo al punto di ritardare l’ora della cena per non
rischiare di essere invitato al tavolo dei colleghi e costretto a partecipare
alla conversazione, generalmente di carattere tutto tecnico.
Il mio essere astemio
mi creava non poco imbarazzo, soprattutto con gli amici tedeschi o britannici,
che spesso m’invitavano a bere insieme,
rischiavo di sembrare superbo o ineducato.
E poi, tra il parlare e il tacere preferisco tacere,
riflettere, ascoltare.
Mangiai gamberetti crudi nel ghiaccio e poi una choucroute royale
e una superlativa mousse al cioccolato.
E pensai a ciò che avevo sentito.
(continua)
(continua)