martedì 10 aprile 2012

Appunti di giorni passati. Un romanzo d'appendice.

Due.

Strano carattere il mio, troppo spesso incline ad angosce immotivate, poi imperturbabile di fronte a pericoli reali.
Percepii quelle frasi senza il minimo sentimento di sorpresa, come una qualunque conversazione tra passanti su argomenti a me estranei.
Ero calmissimo.
Freddissimo.
Mi fermai a prendere un aperitivo al tavolo di un caffè all’aperto, all’inizio degli Champs  Elysées, godendomi la vista di un crepuscolo di fine estate così colorato e penetrante da farmi ringraziare di essere vissuto magari anche solo per questo.
Non modificai il mio programma. Discesi passeggiando gli Champs Elysées, poi percorsi Rue de Rivoli fino ad arrivare a Chatelet. Lì mi fermai a cenare in un ristorante, dove si gustava cucina alsaziana.
Ero seduto solo a un tavolo vicino alla vetrata.
Invidiavo i parigini che vedevo passeggiare.
La configurazione era quella più congeniale alla mia indole: io che mangio da solo in un locale, tra altra gente, tutta in compagnia, e che parlo in silenzio con me stesso, assorbendo però le sensazioni di tutto ciò che mi accade intorno.
Così facevo a scuola, fin dall’asilo, alla mensa universitaria, alla mensa aziendale, ai ristoranti, tanti da me frequentati per lavoro.
A volte, a Bruxelles o in altre occasioni legate a riunioni internazionali, arrivavo al punto di ritardare l’ora della cena per non rischiare di essere invitato al tavolo dei colleghi e costretto a partecipare alla conversazione, generalmente di carattere tutto tecnico.
Il  mio essere astemio mi creava non poco imbarazzo, soprattutto con gli amici tedeschi o britannici, che spesso m’invitavano a bere insieme,  rischiavo di sembrare superbo o ineducato.
E poi, tra il parlare e il tacere preferisco tacere, riflettere, ascoltare.
Mangiai gamberetti crudi nel ghiaccio e poi una choucroute royale e una superlativa mousse al cioccolato.
E pensai a ciò che avevo sentito.
(continua)