sabato 14 luglio 2012

Appunti di giorni passati. Un romanzo d'appendice.


Undici.

Manara commentava lo scorrere delle slides sullo schermo. Stava illustrando a me, ad alcuni altri funzionari della Commissione Europea e ai Capi del dipartimento salvaguardia ambientale della Polizia francese, l’arma definitiva contro il traffico internazionale di rifiuti, un colpo mortale alle ecomafie: il sistema di tracciatura satellitare dei flussi di rifiuti.
Guardavo lo schermo e i colleghi con la mia solita aria distratta e indolente. C’erano abituati, a cominciare da Manara. Ma stavolta ero distratto e deconcentrato sul serio. La mia mente vagava tra quello che ricordavo sommariamente dei sospetti trafficanti, di cui mi aveva parlato Chébel,  che mi temevano  e per questo potevano trasformarsi in un pericolo mortale per me, e immagini varie, diverse: l’aria delle prime ore del mattino a Ischia, i capelli di Silvana, il profumo del mare d’estate la sera, scendendo dal traghetto a Pozzuoli.  L’odore delle angurie davanti ai chioschetti nella brezza notturna.
Le immagini erano interrotte dal pensiero della telefonata di poco prima: che voleva Nino da me? E Diego Sparagnini? Mancavo da troppo tempo da Napoli e da quell’ambiente per ipotizzare la più grossolana delle illazioni. Scacciavo via come si fa con una mosca molesta il pensiero che potesse esserci un collegamento tra Nino, Sparagnini e le rivelazioni che mi aveva fatto Chébel.
Ma tra un sole rosso, che tramonta dietro l’Esterel, e gli occhi di Silvana, irrompeva sempre quell’idea maligna, le parole di Nino, le parole di Chébel.
“Sono paranoico.
Sono paranoico?
Un po’ lo sono sempre stato.
Ma cosa potrebbe mai volere da me Nino? E proprio ora. Coincidenza? Forse…”. 
Pensavo.   

(Continua)