Entrai alle scuole elementari, in prima, nel 1960.
A Napoli, alla Scuola “Guglielmo Oberdan” nel centro
storico.
Erano passati solo 15 anni dalla fine della guerra.
In classe, come in tutta la città, noi bambini venivamo da un
miscuglio di classi sociali, che andava dai figli di ricchi professionisti o
commercianti, ai figli d’impiegati, insegnanti, operai, ai bambini di famiglie
ancora senza tetto, poveri e poverissimi, ai “figli’é uerra”, spesso neri.
Tommaso si chiamava il nostro compagno nero. Veniva “à
vasci’ò’puorto”.
Io, figlio di un tecnico e di una sarta, appartenevo già a
una fascia privilegiata per quei tempi.
Esisteva, allora, la “tessera di povertà” e buona parte dei
miei compagni di classe l’avevano.
Alle famiglie con tessera di povertà il Comune forniva il
grembiulino per la scuola, la cartella in similpelle, quaderni, penne, matite,
riga, squadra e compasso, e tutto il necessario.
Verso le dodici, tutti i giorni, a questi nostri compagni,
veniva anche portata la merenda.
I bidelli con un carrello distribuivano loro panini,
biscotti, tavolette di cioccolata e latte o tè.
Un giorno la maestra non lasciò che la cioccolata fosse data
solo ai bambini con la tessera, ma fosse divisa tra tutti e, quindi data anche
a noi.
Anch’io, da quel giorno, ebbi mezza tavoletta di cioccolato
al latte, come piaceva a me, o fondente talvolta, ma andava bene lo stesso.
Tornato a casa, raccontai la cosa a mia madre.
Mi guardò sorridente e mi spiegò:
-Francesco, ieri, sotto scuola, quando siamo venute a
prendervi, le mamme dei bambini con la tessera di povertà hanno parlato con noi
e ci hanno detto:
“è ccriature so’
tutt’éuale, a ciucculata l’hann’avé tutte quante, e no sul’é figlie nuoste. Si nun v’offendit’jamm’nsiem’ addo’ ‘o direttore
e addo’ a maesta e ci’ ’o ddicimme”.
Per questo, da oggi la cioccolata la divideranno tra tutti
voi.-
Era un altro tempo.
Era un’altra Italia.
E’ Napoli.
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