4. Laurie
La intravidi a un tavolo vicino al nostro. Erano quattro
coppie. Non ne avevo percepito subito la presenza. Mi accorsi che faceva parte
di quel gruppo quando si alzò e senza chiamare il cameriere andò da sola a
prendere una bottiglia di vino e un secchiello con il ghiaccio.
Era di casa Laurie al “Vin sur vin”.
Era la maître di sala.
Ricordo la sera che facemmo la sua conoscenza, forse dieci
anni fa ormai. Allora il maître era ancora Mario, un bell’uomo, canuto,
francese doc a dispetto del nome, che parlava benissimo l’italiano e si
divertiva con noi a chiacchierare degli argomenti più svariati nelle due
lingue.
Quella sera, era inverno, eravamo nella sala interna, calda
ed accogliente con le sue boiserie e le sue pareti ricoperte di scaffali di
legno scuro sui quali erano poste in maniera impeccabile migliaia di bottiglie
di vino.
Non venne Mario a prendere la commande.
Si avvicinò al nostro tavolo una ragazza dall’apparenza
timida.
Aveva i capelli neri a caschetto, occhi nerissimi.
Il mento a punta e la forma del viso, spigolosa e dolce allo
stesso tempo, rendevano grandissimi quegli occhi.
Era di altezza media, il corpo magro, ma neanche tanto, le
spalle strette, in armonia con i piccoli seni, mai ostentati.
La sua pelle era di un colore ambrato
Aveva insomma una sua grazia particolare.
Quando ordinammo, la sua timidezza apparente si trasformò in
una garbata freddezza di sublime professionalità.
“Bien, c’est parti!”
disse usando la frase di rito di Mario quando aveva
completato le ordinazioni, e ci offrì dello spumante come aperitivo.
Trascorremmo una bella serata, la cena fu squisita come
sempre, e come sovente accadeva, alcune portate rasentarono il sublime.
Il servizio di Laurie fu impeccabile. Tuttavia freddissimo.
Mi piaceva la professionalità spinta di quella ragazza.
Quando, pagato il conto, ci salutammo, le dissi che era
nuova del “Vin”, lei mi rispose di sì e che aveva un contratto di sole cinque
settimane. Capii dal suo modo di porsi che sapeva che eravamo vecchissimi
clienti, ai quali la proprietà teneva molto.
Passarono un paio di anni. Mario lasciò il “Vin” e aprì un
ristorante a Parigi.
Per qualche mese condusse il bistrot direttamente Franck, il
proprietario. Poi, una sera d’estate, eravamo a un tavolo in terrazza, comparve
lei, Laurie.
Ci riconobbe, ci sorrise.
Ci riconobbe, ci sorrise.
Intendiamoci, “sorrise” è una parola forse troppo
confidenziale, diciamo più correttamente che ci rivolse uno sguardo cordiale.
Aveva i capelli lunghi, non più a caschetto e la sua pelle
era ancora più bruna.
Era lei il nuovo maître al posto di Mario.
Il suo ritorno però suscitò l’invidia dei due camerieri più
anziani, che aspiravano a loro volta alla promozione. E invece era stata
richiamata quella ragazza che due anni prima aveva lavorato con un contratto a
termine.
Fu forse quello il periodo migliore e di maggior successo
del “Vin”. Eppure talvolta percepivo una fortissima tensione tra Laurie e i
suoi sottoposti.
Lei era bravissima.
Quella ragazza minuta con gli occhioni neri, che non alzava
mai la voce, con toni pacati ma freddissimi e che non ammettevano replica,
faceva marciare il locale a livelli di altissima qualità.
Entrammo in confidenza, d’inverno cenavamo lì tutte le volte
in cui arrivavamo a Nizza e d’estate prendevamo l’aperitivo quasi ogni sera e
spesso ce lo offriva.
Ci raccontò un po’ di lei, che era della Martinica, che
aveva studiato moltissimo e preso il diploma nei migliori istituti alberghieri
di Francia, che un giorno sarebbe ritornata nelle Antille, dai suoi.
Mi sembrò strano vedere Laurie in veste di cliente e non di
maître. Quando ripassò con la bottiglia e il secchiello del ghiaccio, ci
riconobbe e ci sorrise, e stavolta era un vero sorriso.
E la vedemmo spigliata e naturale e la sentimmo ancora
ridere e sorridere con i suoi amici.
Mi rivolse uno sguardo ammiccante e, mostrandomi la
bottiglia di vino, disse
“oggi basta essere seri, Monsieur Romano, non lo sono io,
non lo siate neanche voi. Beviamo insieme.”
E rideva. E rideva.
Finirono di cenare. Laurie si alzò e si avvicinò a me per
salutarmi. Con mia enorme sorpresa mi abbracciò e mi baciò.
Mi sussurrò:
“E’ la mia ultima sera a Nizza. Torno in Martinica. E’ stato
bello conoscervi.”
Mi baciò ancora. Poi prese il casco.
Si avviò verso la moto, che teneva come sempre parcheggiata
sotto un albero di fronte. Mise in moto.
Partì. Senza voltarsi.
Nizza, agosto 2010. Milano, ottobre 2012.
Mi piace, è una storia pulita, fresca, che può sembrare vera perché un vero scrittore questo fa, fa di un'invenzione la realtà. Mi piace molto il finale lascia spazio all'immaginazione e il lettore per un po' si chiede: che farà, come cambierà la sua vita? Sono contenta di aver trovato il tuo blog ti faccio tanti auguri per il tuo futuro da scrittore, a presto
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