6.
Bianca. Il mio amore per la matematica
Quella
mattina d’inverno c’era sciopero e manifestazione dei fascisti. Davanti al
Genovesi c’era un picchetto composto da mazzieri venuti da fuori e dai pochi
fascisti del nostro liceo.
Quasi
tutti gli studenti quel giorno, compresi i miei compagni, avevano preferito
fare filone ed evitare rischi di mazzate.
Io,
per coerenza e, lo ammetto, per stronzaggine, per confermare la mia immagine di
compagno duro e puro avevo deciso di entrare lo stesso, fottendomene dei
fascisti e forzando il picchetto. In verità contavo sul fatto che nel picchetto
c’era qualche mio compagno di classe e che godevo di un certo rispetto, per cui
sapevo che la probabilità di prendere mazzate era piuttosto bassa e comunque
trascurabile rispetto all’enorme guadagno in termini d’immagine.
Così
entrai.
Aveva
cercato di fermarmi Tatà, uno dei cosiddetti “fratelli vaccarielli”, l’altro
era Enzo, il più piccolo. Era finita con uno scambio di schiaffoni, uno preso
da me, ma due presi da Tatà. Il quale, come avevo giustamente calcolato, quando
vide i suoi camerati venirgli a dare man forte disse loro di allontanarsi, che
con me se la sarebbe vista da solo. Così dopo la paccariata mi lasciò passare.
Salito
in classe, mi accorsi di essere l’unico di tutto il Genovesi che era entrato.
Era
l’ora di matematica. Lei si presentò puntuale come sempre nonostante i
picchetti e lo sciopero.
Al
suo ingresso mi alzai in piedi in segno di saluto, come d’abitudine.
“Non
mi aspettavo di vederla stamattina, Romano. Però, forse, a pensarci bene, mi
sbagliavo.”
Sedette
in cattedra e prese lentamente un libro dalla sua borsetta di pelle nera.
Era
una donna di più di cinquant’anni, Bianca Scognamiglio, aveva un viso che
poteva sembrare cattivo a prima vista, ma che guardato con più attenzione e
profondità di spirito, si rivelava bello, il viso di una donna che in anni più
giovani doveva essere stata molto bella. Era alta e snella per la sua età, ma
aveva forme armoniose sia pur pudicamente nascoste da un abbigliamento
estremamente sobrio, freddo e formale: tailleur grigio, verde scuro o marrone,
twin set di lana, sempre impeccabilmente accoppiati, una collana di perle,
scarpe classiche con tacco medio elegantissime.
Aveva
gli occhi verdi e occhiali con una montatura nera sottilissima e squadrata.
Tatà,
sì quello con cui avevo fatto a mazzate, più di una volta mi aveva confessato
che la Scognamiglio spesso sconvolgeva di notte i suoi sogni erotici di
adolescente.
Aprì
il libro. Era piccolo, dalla copertina lucida, rilegato in pelle.
“Le
va se stamattina approfittiamo che siamo soli per leggere e commentare alcuni
passi di San Giovanni Della Croce?”
Sorpreso
e in soggezione (ero sempre in soggezione davanti alla Scognamiglio), balbettai
a voce bassissima
“Veramente
sono ateo, professoressa. Non so quanto possa interessarmi”
Mi
guardò con i suoi occhi cattivi.
“Le
interessa, e poi non faccia il buffone: è troppo giovane per dirsi ateo. Stia
attento e ascolti. Dopo, se ci sarà tempo, parleremo di matematica, ma non vado
avanti con una lezione in assenza della classe.”.
Così
mi sciroppai mezz’ora di letture da San Giovanni Della Croce, di cui confesso
non ricordo niente.
Finalmente
posò il libro e mi propose:
“Romano,
visto che lei non ha problemi con il programma di algebra e sono certa non ha
bisogno di chiarimenti o spiegazioni, le va se la faccio un’introduzione alle
geometrie non euclidee? Vorrei parlarle della geometria di Lobacevskij.”
Io
ero veramente molto bravo e appassionato di geometria euclidea, l’idea che la
Scognamiglio mi ritenesse degno di poter andare oltre, mi lusingò e m’inquietò
allo stesso tempo.
“Certo,
professoressa, risposi, m’incuriosisce sapere che possono esistere altre
geometrie.”
Così
trascorremmo ben più di mezz’ora in una lezione sulla geometria iperbolica che
nulla aveva a che vedere con i programmi.
La
guardavo ammaliato e ascoltavo ogni sua parola dalla sua voce roca e seguivo
ogni passaggio alla lavagna con una concentrazione che raramente ho ritrovato
più avanti negli anni.
Alla
fine delle due ore ero orgoglioso di aver capito, di essere stato in grado di
seguire i suoi passaggi logici e geometrici.
Di
quella mattinata mi è rimasto il ricordo dei suoi occhi, l’unica volta in
cinque anni di liceo in cui mi dedicò uno sguardo buono.
Qualche
settimana dopo, in un’altra giornata di sciopero, questa volta proclamato dai “Comitati
di lotta”, disertai la manifestazione.
Andai
alla biblioteca nazionale.
Presi
“Nuovi Principi della Geometria con una Teoria completa delle Parallele” di
Nikolaj Lobacevskij e cominciai a studiarlo.
Milano
18 novembre 2012.
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